Il Silenzio con la voce d’oro

Mai avrei creduto di vedere Leonard Cohen cantare dal vivo. Mai, fintanto che la sua manager non l’ha mandato in bancarotta costringendolo ad andare in tour per il mondo, a 74 anni, invece di stare a casa in pantofole (a parte che ve lo riuscite a immaginare con le pantofole? Secondo me indossa il doppiopetto anche per andare dal salumiere). La storia è questa. Leonard se ne stava chiuso dentro uno Zen Centre a Mount Baldy a meditare, a disintossicarsi dall’alcohol, dal Prozac e soprattutto da una devastante depressione. Gli altri monaci lo chiamavano Jikhan, ovvero “il silenzio” e lui, zitto e buono ha passato ben 5 anni a meditare. Nel frattempo la sua manager, Kelly Lynch, sperperava il suo patrimonio ($9.5 milioni di dollari). Morale: quando Jikhan esce dal centro buddista per tornare ad essere Leonard a tempo pieno si trova senza un dollaro. Posso solo dire: “Grazie Kelly, grazie di cuore”. Perché quello che ho provato l’altra sera a pochi metri da quel settantenne bellissimo, non me lo dimenticherò finché campo. E avevo pure rischiato di farmelo rovinare da gente incompetente che mi aveva appena fatto un danno notevole al lavoro (rimango vaga che è meglio così). Ero super tesa-incazzosa-grumino-di-nervi poi ho sentito questi versi di “Anthem”:

Ring the bells that still can ring/ Forget your perfect offering/ There is a crack, a crack, in everything/That’s how the light gets in. 

Arresa all’incazzatura, mi sono sentita felice, solo felice e piena di gioia di vivere, privilegiata e sorridente perché son riuscita a vedere la luce anche nel “crack” che mi era appena successo. Pure simpatico quando dice: “Quattordici anni fa ero solo un ragazzino che inseguiva un sogno folle”… bhe, insomma, ragazzo a 60 anni… Ma Cohen come fa a invecchiare? Sembra sempre un “Ladies’ Man”, quell’eleganza innata, quel portamento, quella voce intoccata negli anni, profonda, spirituale, non penso nemmeno si generi dalle corde vocali, no, a lui gli viene direttamente dalle budella, dal cuore, il cervello a volte il fegato. Su “Tower of Songs” prega le coriste (tra cui l’autrice e long time collaboratrice Sharon Robinson) di continuare nel loro “darudan dan dan daru dan dan” a canzone finita. E glielo chiede con il suo fare da gentleman, con quella voce (ho mica ripetuto la parola voce???) e loro appese alle sue labbra… mi fa pensare che lui è uno di quegli uomini che può convincerti a fare di tutto. Se mi dicesse: “Chiarina, scusa potresti andare a piedi a Washington DC, infilare un cotton fioc sull’orecchio di Abraham Lincoln, vestita da bersagliere e ballando una mazurca?” lo farei, perché sicuramente avrebbe i suoi buoni motivi per chiedermelo. 

Ma torniamo al sublime di quella sera… quando recita i versi di “A 10.000 Kisses deep” e mi sono sentita le gambe tremare. Diciamolo la O2 non è una venue adatta per Cohen ma ha un’acustica ottima e ci fa sentire bene ogni inflessione, ogni virgola, ogni piccola variazione di testo che a Cohen piace fare per riempire di enfasi le sue poesie. Meravigliosa l’interpretazione di “The Partisan” grazie anche al chitarrista spagnolo che suonava la chitarra 12 corde come se avesse avuto dodici mani. Una band impeccabile, che lui presenta e ringrazia ben due volte, prima e dopo l’intervallo. Per il bis una parte del pubblico si alza e corre sotto il palco (ovvio, pure io!), così balliamo a una groovy “First We Take Manhattan”, “So Long Marianne” e intoniamo “Democracy” (…is coming to the USA!) che di questi tempi ci sta proprio a fagiuolo. Poi con la chitarra attacca “Famous Blue Raincoat” e mi spiace tanto per chi se l’è persa nel tour di quest’estate perché senza dubbio è stata per me il momento di massima bellezza mai raggiunto a un concerto dal vivo. Non ci sono parole, se non quelle dei versi stessi che se non avete mai letto vi consiglio di fare urgentemente qui. Quel pezzo mi ha raschiato l’anima e non penso di essere stata la sola a giudicare dai volti di chi mi stava intorno… grazie Kelly, grazie, grazie, grazie “A 10,000 times deep”. 

[La foto qui sopra è un appetizer fatto con mezzi di fortuna, quelle “serie” saranno sul mio sito dopo che l’avrò fotografato domani sera alla Royal Albert Hall]

7 commenti

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7 risposte a “Il Silenzio con la voce d’oro

  1. Nino

    74 anni e ancora capace di dare queste emozioni…. incredibile. Lunga vita alle manager incapaci.

  2. Lulù

    Non so come, ma la bellezza che ti ha trasmeso il “Vecchio”, è uscita da queste paginette, mi ha fatto visita e ha rotto, finalmente, il blocco di ghiaccio che ostruiva le mie arterie…ti devo un caffè (corretto, natuerlich).

    un bacio

  3. Carissimo Lulù, come dimenticare i pomeriggi passati insieme ad ascoltare per la prima volta “Songs of Love and hate”… a scoprire insieme quei versi e rimanere ispirati da tanta bellezza! Noi colpiti da una gioventù intrisa di lungimirante vecchiaia! a prestissimo….

  4. Lorenzo71

    Che dire? Spero solo che gli incassi di questo tour non siano bastati, e che il Grande Canadese torni in Italia anche nel 2009…. E in quel caso, salgo sul palco e gli chiedo in ginocchio di cantare “Famous blue raincoat”. Potrei farlo anche vestito da bersagliere, su richiesta.

  5. aLE

    Incredible!Io, cara Chiaretta, l’ho visto a Lucca, questa estate.. si, Famous blue raincoat non l’ha cantata, aihmè.. ma in compenso tornando al b&b fuori dalle mura, sono entrato in un bar per sbranarmi una fetta di torta “ricotta e cacao” e mi sono imbattuto in uno “straniero” che, nonostante fosse ubriaco, continuava a bere (beh, in effetti, che c’è di strano?) e ad intonare “famous blue raincoat”.. l’ha cantata tutta.. ed io con lui.. scoprendo un mio inglese niente male.. (vabbè lui era ubriaco..).. e così, diciamo.. che, in un modo o nell’altro quel giorno l’ho sentita.. chi lo sa, magari quel tizio era il figlio illegittimo di Cohen..

  6. ciao ale, grazie per il tuo racconto, sono belle ste storie post concerto.. quando ancora, intrisi di adrenalina, ci si sente uniti dal grande amore per un artista e si fanno conoscenze assurde…

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